Lettera ad una studentessa incerta

Carissima A.

ti scrivo poche righe, avrei voluto parlarti di piu’ stamane in classe, ma il tempo a volte e’ un fiume dai margini troppo stretti. Avrei voluto dirti di piu’ del compito, della tua reazione, di cosa io penso di te e del tuo percorso. Provo con poche parole strappate agli impegni quotidiani, Anna Wislawa che ride qui accanto e la cena ancora da pensare.

Non devi vergognarti della reazione di stamane, delle lacrime, dell’umana natura del tuo volto. Ho imparato dalle righe di Erri De Luca che il pianto pulisce gli occhi, poi si vede meglio. E vorrei che tu vedessi la stima che ho per te, come studentessa e come persona. Le verifiche vanno come vanno, tu sai bene quale peso hanno per me, per la mia didattica, per il mio modo di concepire il dialogo giornaliero che facciamo attorno e sulla matematica. I voti sono numeri e i numeri sono buoni per misurare tavoli e calendari, non certo persone. Vorrei che tu fossi consapevole della stima che ho per te, per il tuo percorso, per il tuo camminare a volte in salita. I voti buoni (ottimi) arriveranno, i risultati che speri e pensi e desideri anche, su questo non avere dubbi. Allora torna a sorridere, continua a scrivere poesie, suggeriscimi come hai gia’ fatto qualche buon libro da leggere e accogli la matematica come un panorama che richiede tempo.

Questo, soprattutto: datti il tempo necessario, regalati lo spazio per guardare alle nostre lezioni con lo stesso sguardo che dedichi ai poeti che tanto ami. Vedrai che tutto andra’ bene.

Un caro saluto, prof.

Osservazioni

Ho 46 anni.

Mia figlia indossa un nome di poetessa e sta mettendo i dentini. Oggi ha riso tanto.

Mio figlio indossa una tiistezza che ha l’identica forma del mio volto. Oggi non l’ho visto.

Il mio amore ha la forma nascosta di un sorriso gentile. Oggi abbiamo preso un caffe’ insieme, lei era felice.

A Natale ho tagliato i capelli per far contenta mia madre, lei ha cucinato per me come quando ero bambino.

Ho due gatti che sembrano orsi da quanto sono grandi. Leonard ha paura del buio, Penny si sdraia sempre sul divano vicino a me.

Ho un padre che scrive di poesie e tragedie, mi commuove la sua scrivania.

Oggi in classe non mi sono dimenticato di sorridere. Ho anche guardato fuori dalla finestra.

Ho un ukulele verde che suono raramente, mi piace il colore.

La mia vita e’ piena di errori, mi sono persino convinto che sia giusto cosi’.

Alle volte ho una confusione addosso che il reale sembra polvere e il mondo si capovolge.

Ho le scarpe sempre sporche di gesso, sui piedi finisce la mia matematica quotidiana.

Ho perso quasi tutti i miei amici. Per colpa, lontananza, disattenzione.

Sono convinto che Simple Twist of Fate sia la canzone migliore di Dylan.

Ho molti ricordi, pochi rimpianti, nessun proposito.

Aspetto.

Quando la sera diventa vaga mi viene in mente che in 46 anni la luce raggiunge le stelle vicine. Da qualche parte, in qualche luogo, sono ancora bambino, non ho idea del mio divenire, a stento cammino. Forse e’ solo la mia immagine che viaggia, ma e’ gia’ qualcosa.

Rientro

Domani si torna. Alla lavagna che sembra una finestra, al gesso che sporca le mie scarpe, alla matematica che basta un panno a cancellare, ai banchi pieni di domande, ai cappotti appesi in fondo all’aula che invece di domande non ne fanno mai. Si torna a gesti, voci, mani alzate ed ai prof posso andare in bagno. Si torna senza mai essere partiti. Mi sembra di vedere i corridoi, tutti i piedi che ho incontrato in questi anni, i passi che ho seguito, che mi hanno seguito, che si sono persi, che mi hanno fatto perdere. Li divido per due, i piedi, per ottenere persone. Mi perdo nel calcolo, non sono bravo in queste cose.

Per ora mi accontento del silenzio, del Notturno n.5 in Fa diesis Op.15 N.2, della mia penna stilografica, degli ultimi compiti da correggere, del quieto respirare di Carla che posso indovinare da questa parte della parete, del fruscio di Anna Wislawa quando si muove nel lettino, della stanza vuota di Francesco, in attesa come me.

Domani si torna, o almeno provo.

Traduzione

Prima avevo studenti e studentesse e l’urgenza tutta interiore di parlar loro di matematica, di mostrare altri panorami possibili. In alto a tutto, in vetta, la conoscenza. Non il pedantico nozionismo di cose imparate a memoria, la conoscenza come valore universale, come risultato di un percorso in salita, come veicolo di cittadinanza e di presenza. Conoscere per apprezzare. Conoscere per scegliere. E quanti studenti mi son perso per strada, e quante volte son tornato indietro a cercarli, a caricarmeli in spalla se potevo. E si cadeva insieme e se era il caso ci si rialzava insieme. Di quelli non ritrovati ho il bruciante ricordo notturno. Era un lavoro lento, che richiedeva pazienza, attesa. un lavoro in cui l’inutile era avvincente molto piu’ del reale. Il futuro era altrove, nelle loro scelte personali a cui non potevo e non volevo accedere, al piu’ lasciavo una voce di consiglio, di solito scusandomi per l’invasione. In classe era la matematica il mio piccolo lascito.

Adesso ho un’utenza a cui erogare un servizio. La matematica e’ secondaria, devo rendere i miei studenti e le mie studentesse competenti. Il futuro e’ diventato job placement ed al posto della mano tesa per aiutare nell’inciampo abbiamo i crediti ed i debiti, linguaggio da banca.

Mi si dira’ che e’ tutto uguale, che son solo termini nuovi per cose vecchie. Una traduzione moderna. Forse, ma nel cambio di vocabolario ho perso la voglia di parlare.

Nostalgia delle scarpe

Funziona cosi’. Alle 7:20 sono in sala insegnanti, a quell’ora mi piace il silenzio carico di aspettative, i cassetti allineati, i cappotti dimenticati il giorno prima con cui scambiare le prime parole del giorno. E’ la mia lezione migliore, libri abbandonati sugli armadi come studenti, la finestra come lavagna, il mondo che si sveglia piano piano e’ l’argomento. Poi, se c’e’ tempo un caffe’. Infine arrivano gli studenti, senza cui nulla avrebbe senso (riesco, con grande sforzo, ad immaginare una scuola senza noi docenti; mi e’ impossibile invece immaginare il contrario). Una volta li sentivi per le scale, voci e scarpe e passi che potevi riconosce anche dalla sala insegnanti. Zamboni che sale divorando gradini, la Petrusso che non cammina, scivola, il Gilberti che inciampa ad ogni scalino. Oggi invece entrano e passano il badge, si sente un bip, si esaurisce in un gesto contabile l’annuncio del loro arrivo. Strisciano il badge come si fa con un bancomat o con il cartellino alla catena di montaggio, a inizio o fine turno. E’ il primo di tanti badge che dovranno strisiciare, fisicamente ed idealmente, un gesto meccanico che sostituisce motivazione con comodita’.
I bip partono piano, poi diventano una cascata, una grandinata, sembra di stare alla Despar quando le cassiere passano i prodotti per il prezzo. Riesco ad immaginarmeli, due studenti al prezzo di uno. O era il contrario? Bip, ciao Zamboni, bip, addio Petrusso, bip, Gilberti e’ cascato di nuovo. Incontrollati controlliamo il secondo in cui entrano. Ho visto studenti passare il badge due o tre volte nel dubbio di non essere abbastanza presenti. Dice che e’ il progresso, loro strisciano un badge ed io in classe mi ritrovo l’appello gia’ pronto sul registro elettronico. E le famiglie sanno se il figlio e’ in classe. C’era mica bisogno di tutto questo armamentario, bastava che mi telefonassero, le famiglie: "Salve prof, sono io, la signora Zamboni. Oggi il Gianni e’ venuto?" .. "Si signora, e’ qui davanti a me, ma ha un aspetto orribile" .."Tutto suo padre". Invece l’aspetto orribile ce l’ho io che mi ostino a fare l’appello chiamando uno ad uno e loro mi guardano strano come per dire "Prof, ma ho strisciato il badge" ed io li guardo piu’ strano come per dire "io invece ho strisciato fin qui, ma non il badge, proprio io che stamane ad alzarmi e’ stata durissima". Adesso che abbiamo reso inutile l’appello lo faccio ancor piu’ volentieri di prima, mi gusto i miei tre minuti di nomi e volti come preludio alla grandezza che ci aspetta durante la mattinata. Non mi oppongo ad un sistema che reputo sbagliato, mi limito a vivere altrove.

Pero’ intanto li chiamo ad alta voce, questi miei figli e figlie in scadenza. Loro mi guardano, a volte scappa un sorriso, mi sento un po’ meno alla Despar.

Rinuncia

Da anni ho smesso di illudermi. In parte e’ sicuramente colpa mia, in parte di un sistema scolastico che ha ucciso ed uccide propensioni, aspettative, fantasia. I come hanno preso il posto dei perche’, l’utile e’ la moneta di scambio, prepariamo all’eccellenza ed al successo e ci scordiamo quelli, i tanti, che camminano a passo diverso. Raddrizziamo o tagliamo, raramente accogliamo. Scambiamo i voti, la promozione, l’aiuto sulla media con il prendersi cura e senza accorgerci creiamo deserti basati su numeri, prestazioni, competenze. Una promozione non si nega a nessuno, ma intanto li lasciamo soli. Magari promossi, ma soli. Insegnare sarebbe il nostro mestiere. A tutti, con ogni mezzo, ad ogni costo. Non valutare, promuovere o bocciare. No. Il nostro mestiere sarebbe insegnare. A tutti. Non solo a quelli che vanno bene, non solo a quelli che hanno la media alta, che ascoltano, che si impegnano e che hanno diritto di elogio. Ma anche a quelli che non ce la fanno, che si sono persi, che nessuno ha mai provato, mai, a cercare. A quelli che ormai non ascoltano piu’ perche’ inascoltati. Sono pigri, indolenti, non hanno voglia di fare, non si impegnano perche’ tanto sanno che vanno avanti anche senza studiare. A forza di ripeterglielo li abbiamo convinti. In questo deserto privo di orizzonte noi ce li abbiamo portati. Noi, non altri. Sarebbe dovere di adulti, prima ancora di insegnanti, tornare a cercarli. Non dico per salvare (non siamo in grado di salvare noi stessi, figuriamoci altri), ma perche’ non si sentano soli. E forse per non rimanere piu’ soli nemmeno noi.

Per insegnare bisogna lasciare un segno. O il segno. E’ etimologia, non opinione. La mia matematica non lascia invece piu’ traccia. Parlo, perche’ mi piace farlo. E ascolto, perche’ credo sia giusto farlo. Ma ho smesso di insegnare.

Lista di cose da evitare in una tesina per l’esame ESC

Cari studenti e care studentesse, ci siamo, state per premere anche voi il tasto ESC. Vi scrivo una lista di suggerimenti, assolutamente non richiesti, di cose da evitare nella preparazione e nella presentazione del vostro approfondimento per l’esame (volgarmente chiamato tesina)

1. Evitate argomenti banali o scontati
2. Evitate argomenti complessi o culturalmente elitari
3. Non e’ rimasta molta scelta
4. Qualcosa devo pur scrivere
5. Evitate di scrivere tesine che voi non leggereste
6. In compenso potete leggere tranquillamente tesine che voi non scrivereste
7. Evitate di scrivere la presentazione in Klingon
8. "Piacere, sono Giovanni" non vale come presentazione
9. bortaS bIr jablu’DI’ reH QaQqu’ nay’ (vedi punto 7)
10. Vestitevi in modo appropriato (niente maschera e pinne, per intenderci)
11. Vestitevi (piu’ importante del punto 10)
12. Non parlate con il boccone in bocca durante la presentazione.
13. Evitate caratteri bianchi su sfondo bianco.
14. Evitate caratteri neri su sfondo nero.
15. Grigi su grigio, no.
16. Blu su blu, nemmeno.
17. Pero’ a questo punto dovrebbe essere chiaro il concetto, dai.
18. No, nemmeno rosso su rosso.
19. No, non sono io che non mi va bene niente, mi sembra chiara l’idea di fondo.
20. No, non ho detto fondo chiaro, non ci siamo capiti.
21. Ecco, sfondo bianco e caratteri neri. Ottimo.
22. Fermo con il 21, deciso, non lo cambiare.
23. Non siate troppo enfatici, per Diana!
24. Non siate nemmeno apodittici. Punto e basta.
25. Siate chiari. No su sfondo nero, non ricominciamo per favore.
26. Non inventatevi parole per solo scopo adaminoico.
27. Se la commissione improvvisamente aderisce alla Buona Scuola durante la presentazione, non e’ un buon segno.
28. Evitate linguaggi troppo formali.
29. Evitate linguaggi troppo informali.
30. Si, "bella li" al presidente di commissione rientra nel punto 29.
31. Spengete il telefonino. Se suona durante la presentazione fate finta che sia una sveglia "Scusate, volevo essere sicuro di svegliarmi per l’esame"
32. Non twittate durante la presentazione (questo vale anche per i commissari)
33. Evitate di fare "tada’" con la bocca ogni volta che proiettate una nuova slide
34. Scrivete poco, dite molto
35. O era viceversa?
36. Non so, hai iniziato tu sta lista.
37. Noi in India abbiamo un detto.
38. State nei tempi assegnati. Se il Presidente vi fa segno con la mano non e’ per salutarvi, avete sforato.
39. Succede a volte che invece vi stia proprio salutando.
40. Rimane il dubbio se rispondere o meno
41. La 37 e’ veramente difficile
42. In generale andate nel particolare.
43. In particolare state sul generale.
44. Insomma fate come vi pare, nessun consiglio ha veramente valore se non questo: osate.

In bocca al lupo (o in culo alla balena, come preferite, l’importante e’ mai, dico mai fare le due cose contemporaneamente).

Prof.

Prigioniero

Dunque sono prigioniero. Non mi e’ chiaro il reato, incerto e’ il futuro. Tra poco verranno a chiedermi di confessare, il capitano che mi ha interrogato poco fa e’ stato chiaro, mezz’ora per decidere. Dovessi decidere solo per me sarebbe un tempo lungo, ma non sono solo in questa scelta; il mio compagno subisce in questo momento analoga sorte in una cella non diversa dalla mia, ma irraggiungibile. Quando ci hanno catturati non siamo riusciti a dirci nulla, nemmeno uno sguardo, nessuna scelta condivisa, solo il rumore delle sirene, la corsa, il dolore per la traiettoria incerta della vita. Cosa fara’? Mi tradira? O io tradiro’ lui? Se entrambi decidiamo di non confessare, avremo una pena esigua, un anno e saremo fuori. Un anno di pietra e cielo immaginato e’ un tempo che non spaventa. Non hanno prove, solo voci, se non confessiamo questa cella sara’ un ricordo dopo solo quattro stagioni. Dobbiamo solo resistere all’interrogatorio e negare. Ma se lui cede? Se io dovessi mantenere il silenzio e lui dovesse invece confessare? Per me sarebbe la fine. Certo lui sarebbe libero per aver aiutato la giustizia, ma io sarei condannato alla massima pena, dieci anni. Come posso resistere qui dentro per tanto tempo? Non e’ meglio la morte? Non mi spaventa, ho solo paura del silenzio degli uomini, non di quello del tempo. E se io confessassi? Sarei libero, il capitano me lo ha fatto capire; ma condannerei il mio compagno a pena dura e sicura. E se entrambi confessassimo? Sarebbero indulgenti, lo so. Meta’ della pena ad entrambi, cinque anni di aria divisa dal mondo, cinque anni di sbarre per orizzonte. Il tempo sta per scadere ed io non so cosa fare. Ho deciso in cuor mio di non confessare, voglio essere fedele alla mia vita, alla mia scelta, ai miei errori. Ma se il mio compagno mi tradisce? In tal caso cambiare idea e confessare mi farebbe risparmiare ben cinque anni. E se il mio compagno non mi tradisce? In questo caso cambiare idea e confessare mi farebbe uscire subito da questo labirinto creato per me. Io non so cosa fara’ il mio compagno, non posso saperlo, non voglio immaginarlo. Ma so che in qualunque caso, se io adesso cambio idea e butto la mia dignita’ confessando, avro’ migliore sorte che se mantenessi il punto indossando la mia dignita’ e non tradendo. Mi rimane solo una speranza, che il mio compagno segua identiche orme mentali, che arrivi alla stessa conclusione. Allora troveremo un equilibrio tra noi ed il mondo confessando entrambi. Non sara’ la scelta migliore, non la migliore delle vite disponibili in questo mercato che chiamano tempo, ma sara’ un buon compromesso.

Questo e’ il mio spazio scaduto, questo il mio dilemma.

(mi e’ dispiaciuto per John Nash e sua moglie, ancor di piu’ mi dispiace non saper scrivere meglio della sua matematica per ricordarlo).

Lettera dal bordo di uno specchio

Caro Francesco

ti scrivo dal bordo di uno specchio in cui a lungo, stasera, ho guardato il mio viso. Tu lo hai sempre visto cosi’ sin da quando eri bambino, un volto vestito di approssimazione e barba. Anche se adesso sono tornato, anche se ora sto meglio, il segno e’ rimasto. Non e’ la bruttezza che mi preoccupa, quella c’e’ sempre stata, ma rimango a volte sorpreso dallo sgraziato percorso che il tempo ha limato sugli angoli della bocca, intorno agli occhi, sull’orizzonte dello sguardo. Alcuni dolori e le molte colpe hanno creato dimora permanente sulla mia faccia e se anche adesso dormo con volto disteso, l’immagine dello specchio restituisce una moltitudine di anni moltiplicata per errore.

Se ti guardo, quando non te ne accorgi, rivedo le foto di me da bambino, quelle che mia madre tiene ancora oggi a ricordo di quel che non vede piu’ da molti anni. Stasera, davanti al tuo letto vuoto, questo posso sperare: vivendo gran parte del tuo tempo in un altrove, che il tuo volto accolga gli anni e non le colpe come il mio.

Lettera aperta ad un Presidente del Consiglio

Gentile Presidente del Consiglio,

(un caso la pone in questo ruolo, questa email è indirizzata a lei, ma andrebbe benissimo anche se lei fosse un altro o un altro fosse lei). Sono un normale insegnante di liceo, ho quarantacinque anni, due figli piccoli, Francesco e Anna Wislawa, un divorzio alle spalle, alcune chitarre, un ukulele, tantissimi libri, un amore gigante per la mia compagna, una madre che ancora mi chiama per sapere se mi sono tagliato finalmente i capelli, un padre che si perde nella letteratura inglese, la passione per la matematica. Ed ho una moltitudine di figli e figlie in prestito che ogni mattina incontro nelle classi, sia quelle vere fatte di gesso, lavagna, sedie e finestre, sia di quelle immaginate fatte di ricordi e dei tanti volti di ragazzi e ragazze che ho perso per incapacità, destino o solo per il normale scorrere del tempo.

Le scrivo motivato dalla sua email che ho trovato pochi giorni fa nella casella di posta elettronica. Ho pensato a lungo se rispondere o meno, su cosa rispondere, sul perché lei dovrebbe perdere tempo a leggere le mie parole (a parte un semplice atto simmetrico di cortesia visto che io le sue le ho lette). Approfitto di questa pausa dal quotidiano che un sabato sera mi regala per provare a scrivere alcuni pensieri. Premetto che non tenterò di rispondere puntualmente alla sua lettera, se non in pochissimi punti, e di questo me ne scuso. Molti miei colleghi, decisamente più preparati di me, lo hanno fatto e quindi non aggiungo una ulteriore voce inutile alle tante. Inoltre di fronte ad argomenti importanti avvoco il diritto (o forse dovere) di parlarle solo di ció che so, non di ció che non conosco o che mi viene presentato in modo vago. E vaga è la sua email, Presidente. Talmente vaga che è difficile, nonostante i suoi appelli ad "entrare nel merito", dare risposte. Quindi non ci provo, anche perché non sarei capace di fare proposte costruttive, non ho scelto come mestiere quello di riformare la scuola, ma quello di farla. Il compito è suo, lei lo ha scelto, lei lo ha voluto.

Le scrivo, primariamente, perché ho diverse perplessità sulla sua scelta di inviare a tutti i docenti italiani una mail nella loro casella istituzionale di posta elettronica. Si tratta infatti di una mail che non riguarda il mio quotidiano mestiere di insegnante (come ad esempio comunicazioni dal Ministero, avvisi normativi etc etc), ma è una mail non richiesta che pubblicizza la sua azione di governo.Non posso nemmeno pensarla come comunicazione di servizio in quanto io non sono dipendente del Governo della Repubblica Italiana, ma del MIUR. I governi cambiano (per fortuna), l’istituzione scolastica no. Io quindi non dipendo da lei, a lei non sono legato da nessun contratto di lavoro. Avrei capito se la mail mi fosse arrivata dal Ministro dell’Istruzione, ma da lei la cosa suona molto come pura propaganda e questo, le confesso, mi ha dato un po’ fastidio. Se trova il tempo di andare a leggere la definizione di "spam" vedrà che la sua mail rientra in molti modi in tale definizione. Certo, potevo cestinarla subito insieme alle email sul viagra o sui casinó che mi arrivano ogni giorno, ma l’uso di una casella istituzionale richiedeva secondo me un po’ più di meditazione. Ho parlato di propaganda, ed è quello che sembra; magari non era sua intenzione, ma davvero non vedo altro scopo. Nella mail infatti non mi si danno comunicazioni inerenti il mio lavoro quotidiano e non mi si fanno domande, se non un invito generico a dare la mia opinione perché lei ascolta tutti: ma, mi chiedo, che senso ha chiedere l’opinione su un DDL che è attualmente al voto nelle camere del parlamento? In realtà la sua mail sembra solo un modo (alquanto maldestro, se lo lasci dire) di convincermi del suo operato: in tal senso la reputo assolutamente fuori luogo. Inoltre avrei potuto anche offendermi (non l’ho fatto perché sono una persona serena): so leggere un DDL (anche se fate di tutto per scriverli in modo incomprensibile), non ho bisogno di schemini o riassunti, davvero. Quindi le domando, perché mi ha scritto? Vuole convincermi che la sua riforma è buona? Come le ho già detto, la vaghezza della mail (ed anche del DDL, a mio avviso) è tale che non può convincermi.

Nell’incipit della sua mail lei cita le "polemiche, le tensioni, gli scontri verbali" che in qualche modo minano la discussione. Nel video (si, ho visto anche quello) fotocopia multimediale della mail rivolta però al vasto pubblico (con tanto di lavagna per insegnare a noi tutti qualcosa, o forse per prenderci in giro, non si è capito) nel video, dicevo, usa anche la parola "sabotaggio". C’è uno scrittore a me molto caro, Erri De Luca, che in questi mesi sta affrontando un processo proprio per quella parola. Le consiglio vivamente di leggerlo e di riappropiarsi di un termine nobile quale è la parola "sabotare". Ma davvero c’è stato sabotaggio? Io non sono un esperto dei test Invalsi, ma da quel che mi ricordo (magari mi sbaglio), il test non è obbligatorio per le famiglie, i genitori possono decidere di non far partecipare il figlio o la figlia al test. O ricordo male io? In tal caso perché deve coprire con termine usato in senso negativo un fatto abbastanza grave, ovvero che molte famiglie si sono sottratte a questi test? Io non so se hanno fatto bene o male, ma sicuramente la cosa sottolinea un problema abbastanza grave. Parlare di "boicottaggio" non aiuta a discutere sui motivi di tale azione, ma getta un’ombra su chi si è sottratto ai test senza ascoltarne le motivazioni. Secondo me questa si configura come una tipica fallacia ad hominem nel dibattito (fallacia usata spessissimo da voi politici). E citando le tante voci contrarie alla vostra riforma come "polemiche" che alimentano quindi "tensioni" sta di nuovo spostando il problema dal merito (cosa dicono queste persone, perché contestano il suo disegno, come mai la cosa ha assunto carattere trasversale) alle persone che, etichettate come polemiche, diventano assolutamente da non considerare. Altra fallacia ad hominem. Più grave in quanto proviene dal Presidente del Consiglio. Più grave perché agli occhi di chi non è dentro la scuola (penso alle famiglie) vede in quel video un messaggio molto chiaro: io sto facendo una cosa buona per tutti e ci sono questi insegnanti polemici che non vogliono farmelo fare. Invece, signor Presidente, scioperare, dissentire, anche urlare se inascoltati non è fare polemica, ma è il normale strumento di dialettica democratica che in questi tempi sembra sempre più appiattito in un consenso dovuto. Se non si è d’accordo con lei si è polemici? Io il 5 maggio non ho scioperato, ero in classe, perché non credo nello sciopero. Ma ho molto rispetto per chi lo ha fatto, ne capisco le ragioni e la invito a dimostrare un po’ più di considerazione per chi non la pensa come lei.

Sia lei che il Ministro che vari sottosegretari avete ripetuto più volte che siamo noi insegnanti a non aver capito il DDL, la sua portata storica. Può darsi, ma se io in classe ho più dell’ottanta per cento di ragazzi e ragazze che non capiscono un argomento e che magari sbagliano il compito, mi fermo e non mando loro una email con uno schemino, ma riprendo tutto da capo, rimetto in gioco l’argomento, annullo il compito e mi prendo una pausa. Se lei vuol essere insegnante per noi, con tanto di lavagna e gessetti, ci pensi. La cosa è ulteriormente ribadita, in modo ancora più fastidioso, dalla sua frase "forse siamo noi che non ci siamo spiegati bene" (mi riferisco sempre al video), frase che è falsamente di apertura al dubbio. Con tale proposizione infatti lei non mette in dubbio il suo pensiero, ma solo il fatto di averlo espresso bene. Quindi da fuori sembra quasi un’autocritica, quando in realtà è un ribadire la sua idea come unica giusta.

Ma torniamo alla lettera che era solo per noi insegnanti. Non ho, come le ho accennato all’inizio di questa mia email, non ho risposte concrete o proposte. La sua lettera parla di tante cose, molto poco dei ragazzi e delle ragazze.

Si parla per esempio di soldi agli insegnanti per la formazione per la valutazione. Come mi formerà? In che modo? Nel DDL non trovo traccia. Solo il fatto che ci saranno i soldi (vorrei anche vedere che per formarmi devo spendere soldi che non ho ormai più). Nulla, si sbandiera come cosa fatta una formazione per gli insegnanti senza dare nessun dettaglio. Per la valutazione idem. Vuole valutare gli insegnanti? Mi dica come. Sono pronto ad ascoltare, mi interessa molto l’argomento, non ho paura di essere valutato, nemmeno negativamente. Convivo già con i miei sensi di colpa di fronte ai tanti studenti ed alle tante studentesse che non riesco ad aiutare. Ogni singola notte. Quindi ben venga una valutazione.Però mi dica come, ho diritto di saperlo se lei vuole un consenso da parte mia. Nel DDL io ho solo capito che sarà ogni singolo Dirigente a stabilire criteri di premio. Su che base? Con quali strumenti? Non c’è scritto. Mi vuole dare più soldi? Ne avrei bisogno, davvero. Molto. Ma non li voglio, più soldi, non li ho chiesti. Leggo notizia sul giornale di qualche giorno fa del successo nel lancio del satellite militare italiano Sicral-2. Se ho letto bene parliamo di 295 milioni di euro. Un po’ di più dei soldi stanziati nel suo DDL per gli insegnanti, il loro aggiornamento, la loro valutazione. Per un singolo satellite militare. Sono scemo io che leggo in classe la Costituzione. La parola valutazione ha anch’essa nobile origine, significa dare valore. Vuole darmi valore? Non mi dia soldi, mi dia spazio e tempo per i miei studenti e le mie studentesse.

Leggo ancora nella sua lettera che c’è un impegno per l’alternanza scuola-lavoro per arginare il problema della disoccupazione giovanile, perché i dati indicano che, lei scrive, "c’è un problema evidente". Che sia evidente è certo, meno certo è che sia colpa della scuola. Che il problema della disoccupazione nei giovani sia legato alla scuola è tutto da provare. Mi può citare studi, articoli, opinioni di esperti? Magari è vero, non metto in dubbio, ma me lo dimostri. Perché a occhio mi possono venire in mente mille altri motivi per cui oggi i giovani non trovano lavoro. Ma nella sua affermazione questa è cosa certa, c’è un legame diretto tra scuola e disoccupazione e quindi investiamo la scuola anche di questa responsabilità (ma quando c’è stata una crescita occupazionale in passato allora era merito di noi insegnanti? Nessuno ci ha detto grazie, allora). A mio avviso si tratta di un’altra tipica fallacia, questa volta del tipo non sequitur.

Il punto successivo è il mio preferito dove, per educare cittadini, il suo DDL "valorizza la formazione umanista (sic) e scientifica". Cioè valorizza tutto, mi sembra che non abbia lasciato fuori nulla. Come? Cambiando i programmi (che non ci sono più, adesso ci sono le indicazioni nazionali), aggiungendo ore, pregando? Come si valorizza una formazione umanista e scientifica? Qual è l’idea che c’é dietro? Nella prossima email me lo spiega? Questa è una fallacia di ambiguità del tipo "pensiero doppio". O specifica meglio o altrimenti rimane di nuovo la sensazione di uno slogan, non molto diverso da quello di Miss Universo quando dice che vorrebbe la pace nel mondo. Anche io la vorrei.

Ci sarebbero tante altre cose, ma sono venuto meno fin troppo al mio impegno iniziale di non parlare di cose di cui non sono certo. Non volevo addentrarmi nei dettagli specifici di una riforma che per vaghezza mi è abbastanza oscura. In fondo sono solo un insegnante di matematica con molti dubbi, volevo solo dibattere un attimo di metodo e di opportunità di quel che lei ha fatto inviandomi una sua idea non richiesta.

Concludo con una considerazione generale. In tutta la sua email, tranne che in brevi accenni, mancano gli studenti e le studentessæ. Mancano i loro spazi ed i loro tempi all’interno della scuola. Se mi vuole parlare, in quanto insegnante, non mi parli di soldi, di Dirigenti, di alternanze, non mi parli di problemi che lei deve risolvere, non io. Mi parli dei miei ragazzi e delle mie ragazze e di cosa vogliamo fare per loro, di cosa posso fare io per loro. In modo chiaro e dettagliato, non con slogan che non dicono nulla.

Cordiali saluti, Riccardo Giannitrapani.